
«L’acquisizione di capacità, compresa quella di leggere, perde di valore quando ciò che si è imparato a leggere non aggiunge nulla d’importante alla nostra vita» (Bettelheim 1976 p. 10).
In questa frase vi è l’estrema sintesi del significato che dovrebbe avere per un bambino l’apprendimento dell’abilità di lettura: ciò che apprende attraverso la lettura dovrebbe rappresentare qualcosa di significativo per la sua esistenza.
Possiamo definire il processo educativo come esperienza vissuta che si trasforma in sapere utile alla propria vita (Erbetta 1998).
Leggere, dunque, dovrebbe essere l’esperienza di vita attraverso la quale l’uomo riflette sulla propria esisenza. Mentre si guarda vivere, l’uomo educa se stesso. Di questa esperienza nessun essere umano dovrebbe essere privato.
Molto si è detto e scritto sull’importanza della lettura, tanto che, nello sviluppo del bambino e del ragazzo, essa è un valore ormai ampiamente condiviso (anche se talvolta disatteso).
Leggere serve a conoscere, interpretare, comprendere noi stessi e il mondo che ci circonda. Amplia il nostro bagaglio culturale, apre la nostra mente alla complessità, forma il pensiero divergente, ci rende persone migliori e, se sappiamo farne buon uso, ci aiuta ad essere un po’ più felici.
Vargas Llosa, Premio Nobel per la letteratura nel 2010 nel suo discorso per il conferimento del premio disse: «Ho imparato a leggere a cinque anni, [….] È la cosa più importante che mi sia successa nella vita» (Vargas Llosa 2010 p. 10).
Nel linguaggio simbolico della narrazione e della fiaba, fin dalla prima infanzia, si trovano gli elementi e gli stimoli alla riflessione e allo sviluppo della capacità del pensiero astratto.
Non limitiamoci ad insegnare a leggere, ma educhiamo alla lettura.
Dott.ssa Maria Michela Sebastiani, pedagogista.